mercoledì 25 maggio 2016

... riverderci e grazie!

E così dicevo qui, che è venuto il momento di cominciare a cambiare rotta.
Cosa significa?
Significa che dovrò iniziare a metter da parte tante cose che in questi (quasi) 56 anni ho ritenuto prioritari o comunque importanti; che dovrò cominciare invece a cercare di fare e pensarne altre che ho sacrificato o nascosto.
Naturalmente non parlerò di ciò che riguarda la mia vita personale, anche perché a molti di voi non interessa.
Certamente però vorrete sapere che ho deciso di abbandonare ufficialmente le mie velleità da scribacchino. Per tanti anni ho sognato non di pubblicare un libro (avrei potuto farlo 'a pagamento'), ma quanto meno di scriverlo veramente. Ho buttato lì qualche centinaio di pagine tra racconti, un romanzo breve / racconto lungo, partecipazione a qualche esperimento di scrittura. 
Mi sono divertito, è vero, ma ora capisco che non fa per me; soprattutto non mi ha dato niente fino ad ora, e non parlo di soldi o gloria mondana.
Allora non scriverò proprio più? Non lo so, ma sicuramente non sarò più ossessionato se aprendo il PC mi troverò davanti a 3-4 lavori lasciati a metà e alla marea di raccontini o appunti per raccontini d'ogni genere. Non è questo ciò che ritengo, in questo momento della mia vita, importante. E magari, con questa nuova mentalità, può essere che arriva veramente qualcosa di importante!
Un libro, in verità, l'ho anche scritto, seriamente, insieme ad un amico.
È stato pubblicato lo scorso anno, nel mese di marzo, con una casa editrice "vera", cioè non di quelle che gli fai un bonifico e ti pubblicano anche il tatuaggio che hai sul malleolo; ma di quelle che ti pagano per scrivere.
Non vi dirò né il titolo né la casa editrice, tanto se volete potete cercarvelo su internèt.
Ma la cosa bella, o almeno a me pare tale, è che all'editrice (nel senso della tipa proprietaria della casa) è piaciuto il mio stile di scrittura e si è offerta di prenderere in considerazione per la pubblicazione qualsiasi altra cosa (nei limiti della decenza!) avessi voluto proporle. Le ho risposto che ho più di 150 pagine di riflessioni spirituali sparse, raccolte in questi anni, e lei si è detta interessata; basta che glieli metta in ordine prima di farglieli leggere.
Ma sono ancora lì, sparse in un file da qualche parte del PC.
Questo per dirvi un po' delle mie cose.
Quindi qui chiudo la luuunga parentesi, diciamo di un 45ina d'anni, di aspirante scribacchino.
E poi c'è il blog.
Avrete notato che l'ultimo post, a parte quello di ieri, risaliva al 4 marzo, e che gli ultimi articoli erano soprattutto gli "zibaldone" tratti da twitter.
Così è stato naturale pensare che questo che era il mio contatto col mondo "la' fuori" non avesse più senso. Non si tratta solo di chiudere il blog (anche se è, alla fine dei conti, questo) perché l'ho già fatto una volta e poi ho ripreso con quest'Osteria. Ma è il fatto di pensare di avere bisogno di comunicare (in questa forma) a qualcun altro la vita che faccio, le cose che penso.
Poiché, ripeto, ho deciso di guardare a me stesso, anzi dentro me stesso, e lì fermarmi, non sento la necessità di confrontarmi con altri, di raccontare le mie cose.
Questo non significa che non continuerò a seguirvi nelle vostre evoluzioni mentali e scritturistiche.
Certo dopo 8anni8 sarà un po' un trauma.
Qualcuno di voi sa che ho qualche social dove non sono poi molto attivo e che ne sto sperimentando qualcuno nuovo, ma qualcuno mi ha dato la cattiva notizia che la dashboard è solo in inglese e questo mia ha segato le gambe... Accetto suggerimenti per nuove piattaforme di microblogging; unico requisito: siano in italiano e semplici!
Qualcuno potrebbe anche aver notato che ora su Google il mio account ha una nuova intestazione: basta nomi fittizi (che restano in qualche social!). Potrei dire che questa cosa racchiude in sé tutto il mio cambiamento.
Per tutto il resto la mia vita scorre tranquilla.
Ho appena prenotato per la mia settimana di vacanze estive (quest'anno mi tocca il mare, ahiahiahi!); come vi dicevo la famiglia è cresciuta coll'arrivo del "nuovo" nipotino... Insomma, parafrasando Nuti: son contento.
Ah! la foto di copertina. Non è che tutto in una volta sono diventato vanaglorioso o borioso. Volevo solo dirvi, plasticamente, che in questi anni mi avete fatto sentire sempre al centro dell'attenzione coi vostri commenti e incoraggiamenti, tutto qui.
E così... rivederci e grazie!



L'Oste Juan

martedì 24 maggio 2016

Storia di un orologio che non misura solo il tempo...

Ieri è finalmente arrivato un orologio che avevo ordinato, per mio uso personale, dal grossista di cartoleria. Lo guardo soddisfatto nella sua bella confezione a tubo trasparente, decido che è ganzo e che ci farò una gran bella figura quando mi metterò in mutande in spiaggia a farmi trapanare dai raggi UVA quest'estate. Magari mi resterà il segno bianco sul polso, ma tant'è. Guardatelo qui di fianco: non è uno splendore?
Comunque, lo giro e lo rigiro e poi decido di... metterlo in vetrina. Cioè, poiche è periodo di comunioni e cresime, mi dico che magari a qualche nonna/zia potrebbe piacere come regalo per il nipotino facente sacramento. Tanto io l'orologio ce l'ho e funziona. Se nessuno lo pretenderà (dietro pagamento di 19,90 €) lo prenderò per me.
Stamattina prima di uscire per venire in negozio metto al polso il mio fido orologio ormai ultra quindicenne e... tac! Guardate un po' qui...



... morto! batteria scarica!
Ora ditemi voi se non è un segno del destino!
Cosa farò ora? Spendero 4/5€ per far mettere la batteria ad un orologio che comunque doveva andare in pensione, o toglierò alla nonnina la soddisfazione di regalare un bell'orologio per la prima comunione al nipotino?
Naturalmente non ve lo dico, non è che svelando la cosa porterò la pace del mondo, quindi...
Ma dicevo: non è questo un segno del destino?
Tra meno di tre mesi compirò 56 anni, più o meno due terzi di quella che potrebbe essere la mia vita. Diciamo che finora non mi posso di certo lamentare di quel che ho avuto: non ho grosse malattie, ho una famiglia che mi vuole bene, un lavoro che (tenendo conto del momento) non mi ha ancora affossato economicamente.
Ma poi penso che di fronte alla storia del mondo, anche solo a quella dell'uomo, a milioni di anni insomma, la mia vita non è che uno sputo.
Penso che noi misuriamo la realtà su un parametro, diciamo, 10 quando in effetti si tratta di 1 milione. Vediamo cioè le cose dal nostro punto di vista (quelle di uno sputo) invece che da quello dell'oceano, cioé dell'umanità. Pensiamo solo alla storia dei migranti che ci sta sconvolgendo la vita e le coscienze (almeno a chi ce l'ha, una coscienza): dovremo pensare a cosa significa questo movimento di massa nella storia dell'umanità e del mondo non nel nostro bel giardinetto chiuso e finito. Sarà la storia a giudicarci, non la mente contorta e spesso distorta di un leader di partito che difende i propri interessi.
Perciò ho pensato che è arrivato il momento di mettere mano al volante e, pian piano, cominciare a cambiare direzione.
Ma di questo vi parlerò fra qualche giorno, forse domani...
Ah, voi avete mai fatto un elenco delle cose per cui vale la pena di vivere?




Il perplesso Oste Juan

mercoledì 2 marzo 2016

Il nome di Umberto Eco (2)

(Andate a rileggervi qui la prima parte)
... Così decisi di trovare un posto tranquillo dove continuare a leggere.
La storia non si può fermare.
Il primo posto che mi venne in mente fu proprio il grande giardino in cui era immersa la facoltà. Perciò attraversai la piazza in direzione Stazione Termini e mi fermai sotto la pensilina del capolinea del 90 (il numero lo ricordo come fosse oggi!) che mi avrebbe portato, dopo aver attraversato tutta via Nomentana, all'altro capolinea, proprio a pochi passi dall'Università.
A quell'ora il pulmann era abbastanza vuoto e trovai da sedere.
Non volli però riaprire il libro, per non perdere l'atmosfera. Giocai invece, come sempre, a indovinare la vita delle persone.
Devo amettere con un po' d'imbarazzo di aver sempre avuto una 'fissa': osservare la gente. Non in modo morboso, ma per rubarne il pezzo di vita che portano in sé.
[Excursus. La mia concezione del mondo è più o meno questa (mettendo da parte l'aspetto di fede): noi viviamo in un tutto completo in sé, anzi siamo parte di un tutto. Un tutto che è perfetto così com'è, non perché sia il top, ma perché è il meglio di quello che realisticamente possiamo avere. L'innalzamento della temperatura globale è sicuramente un dramma, ma finora abbiamo avuto quello che ci ha permesso di andare ugualmente avanti: il meglio di quello che possiamo avere.
Perciò osservando le persone nei loro gesti, rubando le loro conversazioni, leggendo ciò che scrivono, completo l'immagine del mondo che mi serve per comprenderlo e viverci sempre meglio. È un discorso lungo e complesso; magari qualche volta lo facciamo, che dite?] 
Intanto il pulmann si era fermato e aveva spento il motore in attesa di ripartire e tornare a Termini.
Feci la breve salitina fino alla facoltà ed entrai.
Conoscevo diversi posti dove 'infrattarmi' per continuare in tranquillità la lettura e ne scelsi uno al sole, ché l'aria era ancora abbastanza fresca.
Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk continuavano nelle loro investigazioni, il primo soprattutto dell'animo umano senza dimenticare i misteri terreni; il secondo (affidatogli perché fosse istruito) scopriva aspetti della vita che un giovane novizio benedettino come lui non immaginava neanche e neanche avrebbe dovuto, a cominciare dai piaceri della carne a cui viene iniziato dalla giovane amica del monaco Remigio.
Le figure dei monaci del monastero continuavano a girare attorno ai due, fino a diventare veri e propri pericoli.
Ma non sto qui a raccontarvi la storia, che conoscete sicuramente tutti.
A mezzogiorno mangiai qualcosa in una tavola calda poco fuori i cancelli della facoltà, tornai dentro, cambiai panchina ché anche il sole aveva cambiato posto, alle tre entrai per l'incontro cui dovevo partecipare.
Poi il pulmann mi riporto a Termini e da lì in una decina di minuti a piedi arrivai alla pensione dove facevo sempre tappa.
Solita cena a base di pizza, che l'egiziano lì sotto faceva in modo strepitoso e poi, visto che già a quei tempi non era 'igienico' girare per certe zone di sera e perdipiù da solo, subito in camera a riaprire il libro. 
Non sto a raccontarvi che rimasi in piedi fino a tardi per finire la lettura perché non è vero: quando è un certo orario io devo chiudere gli occhi e dormire, specie se la giornata è stata impegnativa come lo era stata quella.
Perciò chiusi il libro e mi addormentai.
E la mattina seguente, dopo la colazione al solito bar, eccomi finalmente alla ricerca di un altro posto tranquillo dove leggere come andava a finire, che trovai in un piccolo parco vicino il mercatino rionale.
Così lessi e seppi "chi era stato". E non solo, ma capì anche che "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (Della rosa primigenia esiste ormai soltanto il nome: noi possediamo nudi nomi" *.
Insomma: cosa mi ha lasciato aver letto Umberto Eco?
Il nome.
Come 'di ogni cosa a noi non resta che il nome', così ugualmente d'ogni persona resta quello che noi abbiamo trovato nel suo pensiero.
Eco mi ha fatto vedere una sfaccettatura della vita e del mondo, mi ha dato una chiave di lettura della storia d'oggi raccontandomi una storia di ieri.
Certamente il suo modo di raccontare mi ha immerso totalmente in quell'abbazia e mi ha dato un paio d'occhiali speciali (non quelli appena sperimentali che usava Guglielmo!) per vedere il mondo. 
Di Eco, dicevo, non (mi) resta che il nome. Dalla lettura di quel libro ho imparato l'angolazione-Eco: davanti ai fatti della vita, ho imparato ad immergermi, ad entrare in empatia con le cose e con le persone.
E il tutto, che non guasta, attraverso una piacevole e intrigante storia mistery!

L'Oste Juan

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* Con queste parole termina il libro.

martedì 23 febbraio 2016

Il nome di Umberto Eco

Questa era la copertina!
Ora che tutti hanno smesso di parlare di Umberto Eco, volevo azzardare a dire qualcosina io.
Ma a modo mio, cioè raccontandovi di me e lui, di come l'ho incontrato (letterariamente parlando), di quello che mi ha lasciato.
Premetto una cosa: quando dico che un autore "mi lascia qualcosa" non voglio dire che senza di lui non avrei conosciuto un aspetto della realtà, ma che grazie a lui ho trovato in me un modo per leggere la realtà.
Sono arrivato tardi al libro che ha reso famoso al grande pubblico Eco, quello che lui riteneva il suo peggiore: "Il nome della rosa".
Conoscevo l'autore perché mi capitava di leggere le sue bustine di Minerva su L'espresso, ma niente di più. Diciamo che mi stava simpatico, mi piaceva quel suo scrivere fluido ma contemporaneamente denso, che faceva capire per bene tutto quello che voleva dire. O almeno così a me sembrava.
Avevo anche sentito parlare del suo libro e del film che qualche anno dopo ne era stato tratto, quello con Sean Connery e Christian Slater (il nome di quest'ultimo l'ho trovato su Wiki, altrimenti... ). Ci sarebbe la questione che il film non è tratto da libro, ma dal palinsesto del libro, ma la cosa mi porterebbe lontano.
Il libro in mano comunque non l'avevo mai avuto materialmente.
La storia inizia una mattina di un lunedì fuori dalla stazione Termini di Roma, diciamo che siamo nei primissimi anni '90. A quel tempo andavo a Roma ogni 15 giorni per questioni di studio: arrivavo il lunedì mattina, al pomeriggio facevo lezione e ripartivo al pomeriggio del martedì.
Non so se ci sono ancora (manco da Roma da più di 20 anni), ma allora in piazza Esedra, se non ricordo male il nome, era pieno di bancarelle che vendevano di tutto, anche libri usati.
Questo era il benvenuto che Roma mi dava: mi faceva perdere in centinaia di titoli, di copertine colorate, di autori sconosciuti da scoprire; un sogno! Ah, poi c'era i piccioni, ma questa sarebbe un'altra storia...
Quella mattina scendo da pulmann con cui ero arrivato dalla Calabria e comincio a gironzolare per i banchi. Avevo già preso un librettino di non ricordo cosa né di chi e stavo per abbandonare la ricerca, perché facevo conto che quella lettura mi avrebbe tenuto occupato fino al rientro in Calabria.
Ma... ecco che all'improvviso mi ritrovo in mano questo volumetto color senape in edizione economica della Bompiani. Sapete che io sono un feticista dell'odore della carta e questa è la cosa che mi ha subito colpito: il colore, l'odore, la compattezza del numero di pagine. Era perfetto da tenere in mano camminando e leggendo.
Insomma lo comprai.
Non ricordo qual'era il suo prezzo, ma tenendo conto delle mie finanze di allora non doveva superare le 500 lire o giù di lì, altrimenti l'affare non si sarebbe fatto.
Normalmente andavo subito a prendere la camera in albergo e poi facevo un giro per far passare la mattinata.
Ma quella mattina accadde qualcosa. Appena lasciata la bancarella aprii il libro e cominciai a leggere qualche riga dell'inizio. Mi potrete anche dire che tutto ciò che segue è un racconto romanzato, che certe cose succedono solo nei film; dite quel che volete, ma è la verità.
Trovai la prima panchina libera e sedetti, sempre leggendo. E più leggevo più mi sembrava di aver sempre letto quella storia. Mi sembrava di conoscere ogni personaggio, anche quelli appena incontrati. Poiché lo stomaco brontolava (avevo fatto una specie di colazione in un area di servizio durante il viaggio verso le sei di mattina) decisi di mettere qualcosa sotto i denti e presi quel che trovai di buono da una bancarella di alimentari nelle vicinanze.
Era una bellissima giornata, e tutto spingeva a non chiudermi in una stanza d'albergo.
Così decisi...
Alt! Mi rendo conto che la narrazione si sta facendo troppo lunga per un post solo; si rischierebbe di far calare l'attenzione.
Perciò io mi fermerei, per il momento, qui.
Alla seconda parte!

Il diarista Oste Juan
   

sabato 20 febbraio 2016

Insieme (a Myrtilla) raccontiamo... "Il mandala"

Non so bene come si fa a partecipare a questa cosa del blog di Myrtilla.
Ho capito che funziona così: lei scrive un Incipit e poi chi vuole ne scrive il seguito, con un massimo di 2-300 parole o caratteri.
Io ho deciso che volevo e ho scelto le 300 (circa) parole, che restare nei 300 caratteri, per la mia logorrea, mi avrebbero portato a strozzarmi sul nascere.
Eccovi, allora, l'incipit di Myrtilla e il mio finale de 
 

 IL MANDALA
 
Il corpo nudo della donna disteso sul fianco aveva un che di virginale. Una tela intonsa pareva. Invitava a... ma come l'avrebbe presa lui? Offendersi? Adirarsi?
Prese il suo pennello più fine e le si avvicinò. Con dolcezza cominciò dal centro della schiena. Un mandala. Avrebbe disegnato un mandala


Una spirale cominciò ad avvolgersi dal punto di partenza e i colori si susseguivano ai colori.
Enrico intingeva il pennello e poi toccava il corpo nudo. Pian piano i segni divenivano sempre più pieni, più possenti, quasi fossero stoccate di una spada immaginaria. Persino i colori acquistavano violenza, quasi da far male agli occhi.
E, dipingendo, ripensava ai suoi ‘no’, ai suoi ‘non fino a questo punto’, che l’avevano lasciato spossato come un corridore che da’ tutto senza raggiungere mai la meta.
Per Linda ogni cosa era un gioco, ed Enrico questo non lo poteva accettare: nel suo mondo, il padrone deve possedere tutto quello che lo circonda; anche Linda che era sempre lì, a portata di mano.
Ad ogni tratto della spirale cresceva in lui la furia, gli s’accecava viepiù la mente, ed ogni ‘no’ passato diventava una pennellata ancor più piena.
I cerchi avevano raggiunto le scapole e poi le braccia: non c’era più posto per dipingere; ogni parte di quel corpo era stata (finalmente) conquistata, sottomessa, in un mandala di luce esplosiva.
Enrico si alzò e guardò: non i fianchi nudi, non i seni che occhieggiavano da sotto il corpo, non i capelli ramati o le mani affusolate che tante volte si erano rifiutate di dargli il giusto.
Egli guardava l’opera sua, conclusa. La sua mano s'era finalmente impadronita di quel corpo e non restava che fissarlo in eterno.
Sfilò lo stiletto dalla sacca dei colori e delicatamente la penetrò, proprio al centro del mandala, da dove tutto era partito.

sabato 30 gennaio 2016

Mi sto estinguendo

Esempio di parcheggio mattutino di alcolista anonimo*
... non nel senso che ho iniziato una drastica dieta che mi farà perdere chili e chili al mese e alla fine porterà alla mia estinzione (il che, sa molto di Tre millimetri al giorno).
Ma nel senso che...
Forse è meglio se parto dall'inizio.
I miei genitori erano cugini di primo grado, figli di due fratelli, quindi avevano lo stesso cognome, che dirò, fittiziamente, Bernardeschi. Questo avrebbe dovuto essere garanzia di una grande (numericamente) famiglia Bernardeschi.
Ma... , come è in tutte le storie cariche di suspence, c'è stato un 'ma', qualcosa è andato storto nella storia del mio casato.
Mio padre aveva due sorelle, che quindi hanno preso il nome dei rispettivi mariti e i loro quattro figli (totali) portano perciò altri cognomi.
Mia madre aveva due sorelle, e il ragionamento è lo stesso di cui sopra.
Rimaniamo io e mio fratello, direte voi. Esatto.
Ma... (che sta cominciando ad essere una variabile un po' troppo presente, anzi incombente) io non ho avuto figli, soprattutto per scelta, ma anche perché non sono mai stato messo davanti alla possibilità concreta di pormi il problema seriamente. E ormai il tempo per i ripensamenti è ampiamente passato. Su questo scrissi anche un post nel mio vecchio blog.
Mio fratello ha avuto una figlia, che quindi prenderà il cognome dell'eventuale marito con le conseguenze del caso qualora dovesse avere figli. E se anche non dovesse sposarsi ma avere figli, molto probabilmente questo/a pargolo/a prenderà il cognome del padre. Se poi dovesse avere figli 'in proprio' e dare il suo cognome allora forse... ma stiamo coi piedi per terra.
Ecco allora svelato l'arcano: la famiglia Bernardeschi (diciamo così) con me e mio fratello si estinguerà.
Non che questo mi faccia perdere il sonno di notte né mi spinge al suicidio o all'iscrizione al M5S o a qualche altro gruppo motivazionale.
Ma un po', sotto sotto, mi rode. 
Con una famiglia normanna alle spalle, che scese nel bel paese mille anni fa, fermandosi in Puglia, Calabria e Sicilia, che ha tra i sui discendenti tra gli altri Dacia Maraini (che crebbe infatti anche nella famosa Villa di Palagonia, come lei stessa racconta in Bagheria), oltre ad altri personaggi storici e letterari...
Boh!
Altro simpatico parcheggio! Ma ne ho tanti altri, eh!

Comunque, è tutto qui.
Perciò vi sal... Ah, no! un attimo! Prima di chiudere volevo annunziarvi che probabilmente nel prossimo futuro sulle pagine di questo blog potrete trovare post intitolati: Zibaldone.
Magari vi spiego la prossima volta.
Nano nano!

Il misterioso Oste Juan

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* la foto è stata scattata in una traversa che faccio tutte le mattine per andare a lavoro. Di fronte si trova una panetteria dove i genitori vanno a comprare la merenda per la scuola ai figli (il profumato pane e mortadella avvolto nella carta oleata di una volta è ormai off limits, sparito in favore di 'cartone pressato' alla polvere di cioccolato avvolto in plastica irriciclabile, per l'ambiente e per lo stomaco dei bambini) e tutte le mattine è una dura guerra senza esclusione di colpi a chi parcheggia di più alla 'viva il parroco'. Come si può notare dalla stessa foto, sia davanti che dietro la "500" ferma dietro all'auto incriminata, c'era lo spazio sufficiente per un 'normale' parcheggio. Ma si sa che certa gente se non lo fa strano...

mercoledì 27 gennaio 2016

Unioni... "civili"?

Senza voler fare polemiche, rifletto.
In uno Stato ‘laico’, cioè non ‘religioso/teocratico’ (dove i responsabili della nazione sono, cioè, i capi di una qualsivoglia confessione religiosa e dove le leggi sono scritte sulla falsariga di un qualche testo sacro), non ha senso parlare di “unioni civili”.”
Tutte” le unioni sono “civili”, comunque le si voglia descrivere.
Già il fatto di fare una distinzione tra “unioni civili” e qualcos’altro (ad es.: matrimonio) è una discriminazione senza senso: forse che il “matrimonio” è un’unione ‘incivile’?
In uno Stato ‘laico’ ciò che forma una ‘coppia’ è il legame umano d’amore che unisce i due, i quali chiedono che questo loro legame sia tutelato da leggi che diano loro diritti e doveri.
Per rifiutare che questo sia possibile, bisogna dir loro che non ne hanno il diritto perché non possono godere, appunto, dei diritti civili dati dallo Stato a tutti; sono cioè dichiarati incapaci di intendere e volere. E ciò avviene quando la persona è disabile incapace di intendere e volere o ha commesso reati che glielo impediscano. Ad esempio si può impedire ad un cittadino di lavorare in un ufficio pubblico se ha subito condanne che prevedano questa esclusione. Oppure si può vietare un “matrimonio” ad un minorenne o ad un disabile dichiarato incapace se non c’è l’approvazione di un tutore che garantisca per lui.
Nel caso di persone dello stesso sesso che si amano e decidono di vivere insieme non si ha nessuna di queste condizioni.
A meno di dire che gli omosessuali non hanno la capacità di amarsi tra loro, siano “disabili mentali incapaci” o che l’omosessualità sia una “malattia” invalidante che proibisce loro di esprimere liberamente la propria volontà. Ciò infatti che rende valido un “matrimonio” davanti alla legge è che i coniugi pronuncino il loro “sì” ‘liberamente’ e ‘volontariamente’.
Tutto ciò in una società “civile” e non “teocratica”, che quindi difende i diritti di tutti i cittadini, anche di quelli che, a livello religioso o politico, non la pensano come la maggioranza o, comunque, pensano in maniera difforme.
Solo uno Stato “laico” e non “teocratico” può difendere i diritti anche religiosi dei cittadini, ed è proprio per questo che un cristiano dovrebbe volere che lo Stato rimanga “laico”.
Fino a pochi anni fa, infatti, venivano celebrati due distinti riti per il “matrimonio”: uno ‘civile’ e uno ‘religioso’. Oggi la maggior parte delle comunità religiose d’Italia hanno ricevuto (attraverso “patti” con lo Stato italiano) il privilegio di far celebrare ai coniugi un unico rito che ha valore per quella singola comunità e per lo Stato.
Ciò non significa che il “matrimonio” cattolico o evangelico o altro sia esattamente il “matrimonio civile, tanto è vero che, ad esempio, secondo lo Stato italiano è ammesso il “divorzio”, quindi la rottura del patto, mentre molte comunità religiose non lo ammettono. E questo crea già una disparità e una contrapposizione tra lo Stato “laico” e una società “teocratica” come è qualunque chiesa che ha propri ‘statuti’ basati su propri testi sacri. Qualora in Italia fosse prevalso il “sì” all’abrogazione della legge sul divorzio, per esempio, sarebbero stati lesi i diritti di tutti quegli aderenti a comunità religiose (anche d’ispirazione cristiana) che ammettono al possibilità di rottura del vincolo “matrimoniale”, basando tra l’altro questa loro convinzione su un testo sacro.
Il diritto dato ad uno non toglie nulla al diritto dato ad un altro, altrimenti quel diritto non potrebbe essere dato. E se un cristiano vuole che i propri diritti non vengano calpestati, deve essere pronto a dare agli altri i diritti che essi stessi hanno. Poi sarà ognuno, nel chiuso della nostra coscienza, ad avvalersene.
In conclusione ritengo che sia giusto che ognuno manifesti, come nel caso del Family Day, a favore o contro le “unioni civili” (qualunque cosa ciò significhi), ma non bisogna farne uno scontro di civiltà dove chi non la pensa come me è un ipocrita o un peccatore destinato al fuoco eterno. Solo Dio può e deve giudicare. Ma finché il diritto di uno non lede quello dell’altro, entrambi devono avere la facoltà di vivere secondo i propri principi.


Il cogitante Oste Juan

(post proveniente, con qualche piccolo adattamento, dalla mia pagina Facebook)