giovedì 12 marzo 2015

Lillo Melidoro, les jeux sont fait! (1 - racconto)


Saprete tra un po' cos'è il "Ribbon in the Sky"...

Ed eccoci, anzi ri-eccoci, al mio primo amore: la scrittura.
Quello che voglio proporvi è un racconto a puntate, iniziato lo scorso anno quasi per gioco e poi lasciato a dormire, un po' come i massoni che sonnecchiano sonnecchiano e poi d'improvviso: boom! e si risvegliano anche se non sanno perché.
In questo caso il perché è stato più che altro una sfida: volevo terminare almeno una storia delle mille (esagero!) che ho iniziato e i cui file si trovano nella cartella del desktop chiamata: in viaggio.
Naturalmente prima di esser messo on line il testo è passato dalle sapienti mani di Ariano, mio editor di fiducia.
Devo però confessarvi una cosa: il racconto non è finito!
Mi manca il finale che, come suol dirsi, ho tutto in testa e devo solo mettere su carta, anzi su disco.
E ho deciso di iniziarne la publicazione proprio per costringermi a terminarne la scrittura.
Comunque, senza perder altro tempo, qui inziano le avventure di Lillo Melidoro, dal presente poco chiaro e dal futuro...

Lillo Melidoro, les jeux sont fait! *

Era nato in un giorno d'agosto, caldo come solo un giorno d'agosto sa essere.
E c’era stato un frastuono d’inferno: decine d'auto d'epoca in una gara tutta puzzo d’olio e di benzina.
La città in cui era nato si trovava sul mare, uno dei più bei mari d'Italia; e anzi, come aveva scritto il Vate, con il più bel lungomare d'Italia.
Forse per tutte queste cose messe insieme, ora che viveva in un'altra città, con un altro clima, quando era giù di morale chiudeva gli occhi e si rifugiava in un immaginario profumo di mare.
Un giorno gli avevano chiesto di fare un lavoretto semplice semplice, di quelli che non devi saper fare altro che scrivere il tuo nome, e tenere bocca, occhi e orecchie chiuse.
"Terrò chiusi tutti gli orifizi che vorrete" aveva detto quando l'avevano scelto per quell'incarico.
Perché lui qualche studio l’aveva pure fatto, e sapeva cosa significava la parola orifizio.
E così, di punt’in bianco, Pasquale Melidoro era diventato talmente ricco da potersi permettere di andare in un ristorante e di ordinare dal menù senza guardare la colonna dei prezzi.
Lillo (con questo nome l’avevano chiamato tutti sin dal giorno della nascita, ormai più di quarant’anni fa) era contento di questa sua nuova vita: macchine, che gli piaceva cambiare almeno una volta all’anno; una bella casa con un terrazzo da cui si vedeva la città – quando non c’era lo smog; abbonamenti a tutti i digitali e satellitari possibili che trasmettevano calcio.
Fin qui Lillo si poteva dire soddisfatto.
Unica carenza: una donna.
Naturalmente col portafoglio fornito che si trovava non aveva difficoltà, come si dice, a mettere insieme il pranzo con la cena, se mi capite. Ma lui voleva una donna che lo desiderasse per quel che era; non una cortigiana insomma, ma una che l’amasse veramente.
Purtroppo, però, come in tutte le storie troppo belle per essere vere…

*****

“Dottor Melidoro! Buongiorno!”
La hall dell’alberghetto era anche pulita, ma i divani rossi avevano bisogno di una buona visita dal tappezziere.
“Mimì! Come va?”
“Al solito, dottore. Stessa stanza di sempre?” ammiccò il portiere, nella sua livrea verde pastello.
“Ci troverò qualcuno?”
“Come sempre, dottore.”
“Quando mi chiami dottore non so mai se mi prendi per il culo o se parli seriamente.”
“Non sia mai! Non mi permetterei. E comunque, come si dice: un titolo di dottore è come un vaffanculo, con rispetto parlando, non si nega mai a nessuno!”
“Mimì” celiò l’altro “tu qualche volta ti metterai contro qualcuno a cui non piace lo scherzo e ti ritroverai in qualche brutto posto! Ora ti saluto, ho gente che mi attende!”
Nessuno forse aveva mai detto a Lillo Melidoro che non è salutare trombarsi la moglie del capo. E Patrizia l’aspettava, già in vestaglia fucsia di raso, distesa sul letto, mentre col telecomando continuava a far andare su e giù i canali del tv color 50 pollici, troppo grande per la piccola camera in cui si trovava.
Lillo utilizò la chiave elettronica per aprire la porta e richiuse immediatamente dietro di sé.
“Lillo!” esclamò la donna senza staccare gli occhi dal tv color. “È da un bel po’ che aspetto. Quasi quasi sono stata tentata di chiamare il servizio in camera” continuò, facendo esprimere col tono della voce un concetto di servizio che non piacque a Lillo.
“Sai che non ci può essere nessun altro che ti fa un servizio in camera come me!” disse l’uomo mentre si toglieva con un sol gesto giacca e camicia.
E si diedero da fare.
In verità a Lillo parve che Patrizia quella volta non avesse emesso i soliti mugolii nei momenti clou della performance, ma era troppo preso per darci peso.
Tuttavia quell’idea continuò a pungerlo come un ape rimasta intrappolata nel condotto uditivo e risalita fino al centro del cervello.
E mentre guidava sulla provinciale di ritorno in città cominciò a mettere insieme un po’ di tasselli sparsi per la sua mente.
Erano diversi mesi che andava avanti quella storia: aveva la brutta sensazione che qualcuno lo seguisse quando si incontrava con Patrizia. Gli era sembrato che un SLK argento fosse sempre vicino al motel o che un biondone palestrato li spiasse quando erano al bar. E se questo era vero voleva dire che don Alfonso aveva mangiato la foglia e cominciava a sentirsi la testa pesante.
Doveva parlarne con Patrizia. Ma la prossima volta, e soprattutto prima dell’inizio dei giochi.

(... continua... )

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* il titolo è provvisorio, ah.. e si accettano suggerimenti!

4 commenti:

  1. Non hai perso tempo ;-)
    Mi fa piacere rivederti pubblicare racconti e collaborare con te, come ai "vecchi tempi" (in fondo sono un sentimentale, tu lo sai ;-)

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    1. è sempre un piacere avere persone di cui ti puoi fidare per certe cose! Ora spero solo di terminarlo veramente, ma postando un brano ogni paio di giorni, ho davanti almeno un paio di settimane! Grazie!

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  2. Che bello vederti tornare a scrivere racconti!

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