sabato 18 aprile 2015

Quel che resta (un estratto)





Un tipo col pizzetto sale e pepe e i capelli a spazzola sta sorridendo. Si gira continuamente attorno, si sofferma su ogni tavolino, ogni persona che riempie la piazza. La splendida cinquantenne che ha al suo fianco gli sfiora ogni tanto la mano.
Lui ha ormai tutto in testa il racconto che comincerà a scrivere appena potrà. Già in albergo ha il suo Moleskine e butterà giù l’inizio che conosce a memoria: - Aspetta, ancora un pezzo – dice il vocalist….
Lei, capelli scuri e lunghi sulle spalle, è assorta nella musica che ha abbassato il tono ed è quasi coperta dal brusio dei presenti e dal rombo di una grossa moto che sta ripartendo dal semaforo diventato verde sulla strada alle loro spalle. La sua infanzia, tra il mare cristallino, la sabbia bianca e le lunghe file di pomidoro rossi dell’orto a due passi dalla spiaggia, le ha regalato una pelle spessa ma vellutata, che il lavoro, nonostante tutto, non ha rovinato.
La donna alza la mano per chiamare il cameriere.
- Tu cosa vuoi? chiede a lui, mentre arriva un ragazzo col notes in mano.
- Una tisana digestiva.
- Per me un cioccolato caldo, conclude l’ordinazione e torna alla musica.
Sicuramente nel suo racconto ci sarà l’uomo con l’orologio da ragazzo e gli occhi da furbo.
E ci sarà anche la donna con la lunga cicatrice che dalla gola scende giù per la scollatura. Ci sarà perché quel segnacolo di operazione chirurgica non scalfisce la bellezza che traspare dalla serenità del suo sguardo. Sembra infatti che negli occhi accolga tutta l’umanità che la circonda e che anzi lei e la sua cicatrice siano proprio lì per dire al mondo che non tutto è corrotto, che non tutto è perduto e che la bellezza sta dentro e non fuori le cose.
C’è ancora qualcosa che fa piangere l’uomo dal pizzetto. L’assolo di Lucio ‘violino’ Fabbri in Altaloma 5 till 9, ad esempio, la Sinfonia n. 2 op. 51 Rachmaninov, e le campane tubolari di M. Oldfield. Ma anche Guccini che continua ad uscire da un’osteria per rintanarsi tra le cosce di mamma Bologna; e Fossati che trasforma ogni soffio di vento in una casa alla fine della storia.
E ora anche questo blues gli sta facendo venire l’occhio umido.
Sfiora ora lui la mano della donna che gli sta al fianco, che lo ricambia con un sorriso; lui che continua a chiedersi dopo tanti anni e tanto vivere insieme come faccia ad essere ancora innamorata di lui.

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Dal mio racconto "Quel che resta", 2009, pgg 7-8. Il racconto intero lo trovate qui.

8 commenti:

  1. Risposte
    1. Questa parte sì. È inserita in un racconto che non so come catalogare, perché di queste cose non me ne intendo; forse catastrofico. Ma tutto ciò che scrivo ha sempre una base 'quotidiana' anche se è inserita in un contesto 'di genere'.

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    2. Catastrofico? Sai che la parte dove elenchi i brani musicali mi aveva fatto subito venire in mente una canzone di Franco Battiato che inizia con: "Io contemporaneo della fine del mondo..."

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    3. ti lascio alla lettura del racconto, se vuoi, (anzi te lo mando via mail, tanto è lungo solo poche paginette) ma è la fine che da il senso a tutto il resto, a quell'aria di 'tutto appeso' che c'è nella narrazione...

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  2. Un po' me lo ricordavo, ma forse gli hai apportato qualche modifica vero? (d'altronde sono passati alcuni anni da quando lo lessi sul garage).

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    1. no, nessuna modifica, è solo un estratto di quel vecchio racconto.

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  3. Forse sbaglio, ma un po me lo ricordavo....

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    1. Hai buona memoria! fa parte di quella serie di racconti più 'vecchi' che allora ripresi e riscrissi quasi ex novo.

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