mercoledì 2 marzo 2016

Il nome di Umberto Eco (2)

(Andate a rileggervi qui la prima parte)
... Così decisi di trovare un posto tranquillo dove continuare a leggere.
La storia non si può fermare.
Il primo posto che mi venne in mente fu proprio il grande giardino in cui era immersa la facoltà. Perciò attraversai la piazza in direzione Stazione Termini e mi fermai sotto la pensilina del capolinea del 90 (il numero lo ricordo come fosse oggi!) che mi avrebbe portato, dopo aver attraversato tutta via Nomentana, all'altro capolinea, proprio a pochi passi dall'Università.
A quell'ora il pulmann era abbastanza vuoto e trovai da sedere.
Non volli però riaprire il libro, per non perdere l'atmosfera. Giocai invece, come sempre, a indovinare la vita delle persone.
Devo amettere con un po' d'imbarazzo di aver sempre avuto una 'fissa': osservare la gente. Non in modo morboso, ma per rubarne il pezzo di vita che portano in sé.
[Excursus. La mia concezione del mondo è più o meno questa (mettendo da parte l'aspetto di fede): noi viviamo in un tutto completo in sé, anzi siamo parte di un tutto. Un tutto che è perfetto così com'è, non perché sia il top, ma perché è il meglio di quello che realisticamente possiamo avere. L'innalzamento della temperatura globale è sicuramente un dramma, ma finora abbiamo avuto quello che ci ha permesso di andare ugualmente avanti: il meglio di quello che possiamo avere.
Perciò osservando le persone nei loro gesti, rubando le loro conversazioni, leggendo ciò che scrivono, completo l'immagine del mondo che mi serve per comprenderlo e viverci sempre meglio. È un discorso lungo e complesso; magari qualche volta lo facciamo, che dite?] 
Intanto il pulmann si era fermato e aveva spento il motore in attesa di ripartire e tornare a Termini.
Feci la breve salitina fino alla facoltà ed entrai.
Conoscevo diversi posti dove 'infrattarmi' per continuare in tranquillità la lettura e ne scelsi uno al sole, ché l'aria era ancora abbastanza fresca.
Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk continuavano nelle loro investigazioni, il primo soprattutto dell'animo umano senza dimenticare i misteri terreni; il secondo (affidatogli perché fosse istruito) scopriva aspetti della vita che un giovane novizio benedettino come lui non immaginava neanche e neanche avrebbe dovuto, a cominciare dai piaceri della carne a cui viene iniziato dalla giovane amica del monaco Remigio.
Le figure dei monaci del monastero continuavano a girare attorno ai due, fino a diventare veri e propri pericoli.
Ma non sto qui a raccontarvi la storia, che conoscete sicuramente tutti.
A mezzogiorno mangiai qualcosa in una tavola calda poco fuori i cancelli della facoltà, tornai dentro, cambiai panchina ché anche il sole aveva cambiato posto, alle tre entrai per l'incontro cui dovevo partecipare.
Poi il pulmann mi riporto a Termini e da lì in una decina di minuti a piedi arrivai alla pensione dove facevo sempre tappa.
Solita cena a base di pizza, che l'egiziano lì sotto faceva in modo strepitoso e poi, visto che già a quei tempi non era 'igienico' girare per certe zone di sera e perdipiù da solo, subito in camera a riaprire il libro. 
Non sto a raccontarvi che rimasi in piedi fino a tardi per finire la lettura perché non è vero: quando è un certo orario io devo chiudere gli occhi e dormire, specie se la giornata è stata impegnativa come lo era stata quella.
Perciò chiusi il libro e mi addormentai.
E la mattina seguente, dopo la colazione al solito bar, eccomi finalmente alla ricerca di un altro posto tranquillo dove leggere come andava a finire, che trovai in un piccolo parco vicino il mercatino rionale.
Così lessi e seppi "chi era stato". E non solo, ma capì anche che "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" (Della rosa primigenia esiste ormai soltanto il nome: noi possediamo nudi nomi" *.
Insomma: cosa mi ha lasciato aver letto Umberto Eco?
Il nome.
Come 'di ogni cosa a noi non resta che il nome', così ugualmente d'ogni persona resta quello che noi abbiamo trovato nel suo pensiero.
Eco mi ha fatto vedere una sfaccettatura della vita e del mondo, mi ha dato una chiave di lettura della storia d'oggi raccontandomi una storia di ieri.
Certamente il suo modo di raccontare mi ha immerso totalmente in quell'abbazia e mi ha dato un paio d'occhiali speciali (non quelli appena sperimentali che usava Guglielmo!) per vedere il mondo. 
Di Eco, dicevo, non (mi) resta che il nome. Dalla lettura di quel libro ho imparato l'angolazione-Eco: davanti ai fatti della vita, ho imparato ad immergermi, ad entrare in empatia con le cose e con le persone.
E il tutto, che non guasta, attraverso una piacevole e intrigante storia mistery!

L'Oste Juan

-------------------------
* Con queste parole termina il libro.